Test covid 19

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Un mio primopiano sorridente

Ho vissuto una pessima esperienza e la voglio raccontare perchè, se capitasse a qualcun altro, mi piacerebbe che la vivesse meglio di come abbia fatto io.

Da settembre vivo al porto di Propriano, in un appartamento affittato al volo perchè non si poteva vivere su Olga.
Olga aveva subito un piccolo incidente quest’estate ed era stata portata in cantiere per la riparazione. Ci avevano detto che era un piccolo danno, riparabile in fretta, forse 15 giorni. I giorni sono diventati settimane, lente e infinite. Ogni mattina scendevamo al cantiere a vedere i progressi nei lavori e troppe volte siamo rimasti delusi nel constatare la lentezza con cui procedevano, constatazione che andava di pari passo con il tomore che non saremmo riusciti a partire prima dell’arrivo della brutta stagione. Così è stato.

Il lockdown è scattato prima che ci rendessero Olga, la navigazione è diventata proibita e noi siamo rimasti nel nostro appartamentino. Ne siamo usciti molto poco, in ottemperanza alla legge, per la spesa e la passeggiatina quotidiana, che facevamo lungo la spiaggia, su sentierini appena tracciati che costeggiano il litorale, senza incontrare anima viva.
Io qui non conosco pressochè nessuno e le uniche mie interazioni sono state con la cassiera del supermercato e con la panettiera: entrambe cortesi, certo, ma non ho pensato di cucire con loro un’amicizia.
In fin dei conti non avevo bisogno di conoscere nessuno: avevo molte ore per leggere e scrivere, che sono tra le mie passioni preferite, potevo sgranchirmi le gambe in riva al mare, che qui è veramente spettacolare, cosa chiedere di più?

Il mio desiderio di tornare a casa si è acceso vedendo la fine del lockdown avvicinarsi e, con essa, l’appropinquarsi di alcuni eventi importanti come il Natale ma soprattutto la laurea di mio figlio, e poi il compleanno di mia figlia.
Programmo quindi il rientro.
Viaggiare dalla Corsica a Milano è molto impegnativo, non siamo lontani, appena 500 Km, ma il mare di mezzo non aiuta. Ho già sperimentato molte soluzioni: auto con traghetto, traghetto e treno, traghetto e pullman, treno ed aereo, aereo e pullman. Questa volta scelgo il volo da Figari per Nizza e il treno da Nizza a Milano: trovo una combinazione di orari che mi dà il tempo di spostarmi dall’aeroporto alla stazione di Nizza in tutta tranquillità: è un percorso già fatto altre volte, lo conosco come le mie tasche, e il trenino che arriva dal centro città all’aeroporto è comodo e affidabile.
Qualche giorno dopo la prenotazione di aereo e treno la compagnia di bandiera corsa mi comunica che il mio volo è stato annullato e di contattarli per un’altra soluzione.
Per fortuna c’è un volo che parte al mattino presto da Ajaccio per Nizza, mi costringe ad una levataccia pazzesca, per poi trascorrere tutta la giornata nella cittadina della Costa Azzurra, ma non ho alternative.

Due giorni prima della partenza vado in farmacia a fare il test antigenico per il covid 19, per poter rientrare in Italia (obbligatorio per chi rientra dalla Francia).
Il test è fastidioso, il lungo cotton fioc sembra che arrivi sino al cervello, ma comunque non è affatto doloroso.
E poi aspettiamo, il farmacista ed io: 15 lunghissimi minuti in cui cui lui si rivela piuttosto antipatico: mi chiede se ho mentito sul fatto che non ho visto nessuno durante il lockdown, mi chiede di confermargli che quello che ho dato è il mio numero di telefono, rispondo che sì, è un numero italiano, diverso dai loro.
Finchè mi dice “Beh il suo test è positivo”.

Mi si annebbia la vista, gli chiedo di ripetere e mi dice nuovamente che il test è positivo. Ricaccio indietro le lacrime ed esco fuori, ho bisogno di aria. Anche il mio compagno si sottopone alla stessa tortura ma il suo esito è negativo: ci spiega, sgarbatamente, che l’esito negativo potrebbe essere falso ma sicuramente non il positivo. Mi dice che se il test ha rilevato il virus non può esserselo inventato, traduco liberamente dal francese.
Panico.

Non so se sia più forte la paura di essere ammalata di questo terribile virus o il fatto di non rivedere i miei figli, magari mai più. Sì, tendo ad essere tragica e poco ottimista di fronte alle difficoltà, ma stiamo parlando di quel cosino che sta seminando morte in tutto il mondo.
La mia emicrania arriva puntuale: quando in situazioni di stress si avrebbe bisogno di lucidità io mi accascio con un mal di testa terrificante, che peraltro è uno dei sintomi del covid 19.
Il giorno dopo andiamo dal medico di base a farmi prescrivere il tampone molecolare; gentilissima la dottoressa ci dice che onestamente non sa darci spiegazioni per l’avvenuto e che comunque, siamo sinceri, di questo virus non si hanno forti certezze su nulla, ma comunque può affermare che il test antigenico sembra essere affidabile al 70%. Ho quindi il 30% di probabilità che il mio sia un falso positivo. Lo vorrei andare a dire al farmacista, ringraziandolo degli orribili incubi che mi hanno tenuta sveglia la notte appena trascorsa.
Ovviamente non c’è posto per fare il tampone in giornata, ma ringraziando il fatto che la Corsica sia poco popolata, troviamo un appuntamento per il giorno successivo.
Esito fra 24 ore, al massimo 48.

In 24 ore quanto volte un cervello di una persona ansiosa può pensare che tutto andrà a finire male? Tante. Non sono valsi anni di Tai Chi, di Mindfulness, di meditazione, non riesco ad essere positiva.
In casa, io ed il mio congiunto ci dividiamo gli spazi: mi lascia la camera da letto e mi ci barrico dentro. Ci incrociamo quando passo per andare in bagno, entrambi con la mascherina. Non ci siamo permessi un abbraccio, la paura del contagio è tanta.
Questa mattina ho avuto l’esito del test molecolare: NEGATIVO!
Ho chiamato tutti, figli e amiche che mi hanno confortato a distanza.
L’incubo è finito.
Questa volta.

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