C’è una nota canzone che dice che “partir è un po’ morir” e infatti, ogni volta che parto, trascorro i giorni precedenti con il magone: una sottile tristezza, appena dolorosa, ma fortemente presente.
Il magone in questo caso è quel dispiacere che sopraggiunge quando devi lasciare qualcosa che ti fa stare bene, le persone che ami, un luogo ove sei sereno.
Ed è la stessa commozione sia che io parta dalla Corsica che da Milano; entrambi i posti che chiamo casa hanno pro e contro, in un posto ci sono i miei figli, dall’altra il mio compagno.
La mia vita nell’ultimo anno è stata costellata da continue partenze.
Sarebbe però tutto molto più difficile se non ci fossero anche gli arrivi: arrivo sempre dove sono amata, dove mi sento a casa, dove c’è qualcuno che mi aspetta ed è felice di vedermi.
Sia che io atterri con un aereo,
sia che io arrivi col treno,
c’è sempre qualcuno che mi viene a prendere,
il cui volto si illumina quando mi vede avvicinarmi.
La settimana appena finita è stata quella del rientro a Milano.
So per certo che è durata sette giorni, come tutte le altre, eppure mi sembra che i giorni trascorsi siano molti di più.
La verità è che quei 600 km che dividono Olga da Milano assomigliano più ad un salto ipergalattico.
Milano è famosa per essere la città “dove non si sta mai con le mani in mano”: i ritmi sono frenetici, gli appuntamenti si accavallano, i caffè si bevono di corsa, in piedi, al bancone del bar.
In Corsica il caffè si beve rigorosamente seduti al bar e i ritmi sono più a misura d’uomo. Quando sono in barca a vela, inoltre i ritmi sono dettati dall’umore del meteo, dagli imprevisti del vento e se c’è brutto tempo si sta fermi, al chiuso, ad aspettare.
Prima di salire in auto per andare all’aeroporto mi sono voltata indietro; l’immagine che mi è rimasta nel cuore è la seguente: il cielo blu, il mare trasparente, la quiete pace che in alcuni momenti regna in porto.
Dopo 16 ore di viaggio sono stata catapultata a Milano,
e anche se quando sono arrivata in stazione la mia città dormiva già,
sapevo che i giorni successivi sarebbero stati molto diversi da quelli del mese precedente.
I primi giorni sono sempre i più difficili: il cambio di letto e di cuscino, che sembra una stupidaggine è invece foriero di sonni agitati, mancati risvegli sorridenti e giornate cominciate col piede sbagliato, e finchè non inserisco la marcia appropriata per dove mi trovo mi sento fuori luogo, sfasata.
Poi, lentamente, è come quando il puzzle prende forma, ogni pezzo trova il suo posto ed io torno a muovermi a mio agio.
Se in Corsica indosso prevalentemente sneakers e abbigliamento sportivo, a Milano ricomincio a correre sui tacchi, se al mare ho sempre un bel colorito, dovuto al fatto che vivo più tempo all’aperto che al chiuso, a Milano ricomincio a truccarmi per celare il tono grigio verde della pelle del mio viso.
Questa volta, che sono ritornata nella città dopo un mese intero vissuto in barca, un po’ stanziale in porto e un po’ in giro per il mare che lambisce la Corsica, riprendere i miei abiti è stato un po’ più faticoso, ma forse è solo il fatto che non ho ancora fatto il famigerato cambio di stagione, e che il tempo estremamente variabile complica parecchio le cose.
Inoltre il mese di aprile sull’isola Magica
quest’anno sembra che sia stato anche più incantevole di altri,
perchè, forse complice la pandemia, la Natura è esplosa in modo scenografico.
Tornare tra asfalto e cemento non è facile.
Ma avevo proprio voglia di riabbracciare i miei figli e rivedere le amiche.
Non si può proprio avere sempre tutto contemporaneamente nella vita.