In poco più di un’ora da Milano, percorrendo l’autostrada fino a Como e poi lungo la vecchia strada Regina, costeggiando il lago si arriva a Tremezzina; si lascia l’auto in un parcheggio (a pagamento) e si entra.
Il biglietto per gli over 17 e gli under 65, ovvero gli adulti, è di € 12, riduzioni per tutti gli altri. Io ho anche preso l’audioguida da € 2: scarichi la loro applicazione e con il codice che ti viene dato alla cassa hai tutte le informazioni e le curiosità sulla villa e sui giardini che la circondano.
Il luogo è meraviglioso, la brezza che sale dal lago e l’ombra creata da questo parco secolare lo rendono fresco anche nelle ore più calde della giornata (quando ci sono stata io, il 30 giugno dopo le h.10.30): cosa chiedere di più??
Gli esterni sono lussureggianti e per farne il giro occorrono due ore circa (d’altronde occupano ben otto ettari!)
Volendo visitare solo il parco botanico, si può fare anche più velocemente, evitando di addentrarsi nei sentierini che compaiono all’improvviso dietro ad un gigantesco tronco o in fondo ad una stradina che lambisce un prato fiorito.
Le due ore trascorrono seguendo il percorso guidato, cartina alla mano, che ti viene consegnata alla cassa, all’ingresso, o con l’audioguida, come abbiamo fatto noi.
Secondo il mood si può liberamente decidere di soffermarsi in alcuni spazi o in altri, deviare dal percorso suggerito ed addentrarsi in quelli più misteriosi, oppure fare un rapido giretto e via.
Subito dopo l’ingresso si arriva ad una fontana, inserita nel giardino all’italiana. Sulla superficie dell’acqua fioriscono splendide ninfee, sovrastate dalla statua di un putto e di un delfino. Da qui si può spostare lo sguardo a destra, sul cancello in ferro con le barre incrociate a formare la lettera “C”, in onore della Principessa Carlotta, oppure a sinistra, verso la villa e le sue cinque terrazze.
Da qui ci si inoltra per un camminamento, circondati da siepi di camelie che a Primavera devono essere uno spettacolo (e mi riprometto di venire a vederle).

Non vi spoilero tutto quello che c’è da vedere: i maestosi fusti secolari, gli alberi da ogni parte del mondo come le sequoie ed il cedro della California, le palme dal Cile, i piccoli giardini fioriti, le siepi di moltissime varietà, gli ulivi, le piante aromatiche…
Io sono rimasta molto colpita da quella che è chiamata “La valle delle felci” che è un angolo di parco pieno di felci che crescono lungo un torrente: è pazzesco, sembra di stare in un bosco di montagna.
E’ per me poi speciale il “Giardino di bambù”, creato secondo la filosofia taoista (io sono una praticante di Tai Chi da molti anni), in cui si alternano questi altissimi fusti di bambù a piccole cascatelle d’acqua. Ah, vi si accede tramite una scalinata, a metà della quale si è accolti dal simbolo dello Yin e Yang, per me continua ispirazione di vita.
In questo periodo ho avuto anche la fortuna di vedere in piena fioritura le ortensie.
Le Hydrangeae, le ortensie, che abbelliscono il parco di Villa Carlotta sono state piantate su progetto di un vivaista specializzato che ha creato una vera e propria collezione.
Si trovano in punti diversi del parco ed hanno i colori più vividi che si possano immaginare, partendo dall’immacolato bianco al viola intensissimo passando per tutte le sfumature del rosa.
Per i più esperti, c’è da sapere che sono state recuperate anche varietà antiche, alcune delle quali molto ricercate, e sono state collocate in modo che possano godere appieno del sole che amano tanto.
La villa è imponente, magnifica, non mi sorprende che sia stata nell’Ottocento il soggetto preferito di molti artisti, che l’hanno ritratta dal lago, dal quale appunto si ha una migliore e completa visuale: una bella costruzione con alle spalle lo splendido giardino colmo di alberi verdi e dai mille colori dei diversi fiori che sbocciano nei suoi prati.
Nell’Ottocento era addirittura considerata un’icona, per quanto fosse sorprendente l’insieme.
Molti dei ritratti della villa sono esposti proprio qui: c’è una sala apposta, la sala delle vedute.
La villa ha cambiato proprietà dalla sua costruzione ad ora che è bene dello Stato italiano, e la cui cura e manutenzione è a cura dell’ente villa Carlotta che ha il compito di gestirla. Curioso sapere che solo nel ‘900 sono state messe l’acqua e l’energia elettrica.
Molte sono quindi le famiglie che qui hanno alloggiato: dai marchesi Clerici (Claudia Caterina Clerici, ultima discendente della famiglia che costruì la villa) al conte Sommariva, che fu uno dei più importanti collezionisti della prima metà dell’Ottocento e che qui ha fatto installare alcuni dei capolavori che commissionò e che ora il visitatore può ammirare.
E’ stata anche abitata dalla Principessa Carlotta di Prussia, che la ebbe in dono per il suo matrimonio con il duca di Sassonia, e per questo motivo oggi la villa ne porta il nome e le sue iniziali troneggiano intrecciate alla cancellata dell’ingresso che dà sul lago.
Gli interni sono quelli dell villa di villeggiatura che la famiglia Clerici volle, i quali possedevano un palazzo in centro a Milano e avevano già la villa di campagna a Niguarda (!); per cui non aspettatevi lo sfarzo di Versailles.
Comunque è definita villa di delizia perchè è, appunto, deliziosa, con degli elementi che la rendono una visita da non perdere.

Cominciamo dal primo piano (che poi è il piano terra) in cui l’esterno, il parco, fa da cornice alle stanze, entrando nel campo visivo da ogni finestra.
Tutto il primo piano è caratterizzato da soffitti dipinti con affreschi nelle volte: molte a celebrare l’apoteosi di Napoleone, di cui Sommariva era il braccio destro e che chiamò la villa “la casa delle belle arti” poichè ne custodiva le sue collezioni.
Infatti qui ci sono sculture e dipinti di inestimabile pregio.
Innanzi tutto c’è una copia del famosissimo bacio con cui Amore risveglia l’amatissima Psiche: l’opera è stata scolpita da Adamo Tadolin, allievo prediletto di Canova.
Quest’ultimo gli aveva infatti donato il gesso originale, da cui sono tratte le sue due opere, quella conservata a San Pietroburgo, all’Hermitage, e quella al Louvre.
Un altro bacio campeggia in un’altra sala: questo dipinto fu commissionato a Francesco Hayez dal collezionista Giovanni Battista Sommariva, proprio per essere qui collocato e fu esposto per la prima volta all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1823, dove non ottenne il successo meritato perché è veramente una grande opera romantica, un po’ in anticipo sui tempi quindi.
E’ rappresentato l’ultimo bacio di Romeo e Giulietta, in quel momento tra la fine della notte e l’alba: lei è scalza, in veste da camera, lui pronto a scappare.
Struggente e commovente.
Giulietta: Vuoi tu già lasciarmi? Il giorno è ancora lontano: fu la voce dell’usignolo, non dell’allodola, che ti ferì, e che per tutta la notte canta là su quel melograno. Credimi, amore mio, fu l’usignolo.
Romeo: Era l’allodola annunciatrice del giorno e non l’usignolo; vedi, amica mia, quelle scie di luce che, invidiose della nostra felicità, cominciano a imbiancare l’Oriente? Tutte le luci della notte si sono spente, e sorride il mattino sulla cima dei bruni monti; e lieve librandosi, pare sul punto di slanciarsi sulla terra. Bisogna che io parta per vivere, o che rimanga qui per morire.
Giulietta: No, quel chiarore non è il dì, ne sono certa; è qualche meteora che il sole esala per rischiararti stanotte la via di Mantova. Rimani ancora un poco: non partire così presto.
Romeo: E sia; mi si sorprenda, mi si conduca a morte; sarò lieto di morire, se tu me l’imponi. Dirò con te che quel bianco chiarore non è il mattino, ma solo il pallido raggio che diffonde la luna; dirò che a cantare non è l’allodola i cui concenti si levano a ferire la volta del cielo. Ah! ben più lieto sarò di rimanere che di separarmi da te. Venga pure la morte quando vuole; se tu me lo comandi, mi sarà accetta. Che dici, anima mia? Parliamoci: non è ancora giorno.
Giulietta: Ah! è il giorno purtroppo! Fuggi da questi luoghi. È l’allodola che canta con sì discordi suoni, e riempie l’aria di questi accenti aspri e lamentosi. Oh! C’è chi dice che l’allodola presiede alle dolci separazioni; ma questa che ci divide è separazione ben crudele. Su, strappati dalle mie braccia, Romeo, fuggi: ahimè, spunta il giorno!
Il secondo piano è invece contraddistinto dai soffitti in legno a cassettoni meravigliosamente dipinti, come da richiesta dei conti Clerici nel 1600, e da ambienti molto luminosi.
E’ altresì impressionante la vista che si ha quando si sale al secondo piano dell’edificio e ci si affaccia dal balcone: lo sguardo può spaziare su un ampio scorcio di questo ramo del lago di Como che, scintillante, dona un allegro senso al visitare.
Qui si trovano le stanze private, a cominciare da un primo salotto con un enorme arazzo fiammingo del ‘700,
la camera della principessa Carlotta con la tappezzeria rosa, con un ritratto a soli vent’anni, un anno dopo il suo matrimonio
la camera del duca Giorgio II, con i mobili in mogano decorati in oro, fine ‘800, con una
splendida culla in ciliegio che nasconde un carillon per cullare i neonati
la sala da pranzo, con la tavola apparecchiata con le preziose ceramiche dell’epoca
Io me ne sono innamorata.
Complice l’atmosfera romantica del lago, ed il fresco che ho assaporato sotto gli alberi, dopo giorni di caldo atroce in città.
Passeggiare tra fiori e verde di questi giardini è come trovarsi in un bel sogno, con la sensazione diffusa di benessere e di piacere, con la consapevolezza di stare bene, in pace con se stessi e gli altri.