Covid-19, il viaggio

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vagone vuoto di un treno, mia immagine in primo piano

Il 7 marzo 2020 stavo cenando su Olga.

All’improvviso incominciano ad arrivarmi messaggi sul cellulare.
Tanti, tantissimi.
Sembra Natale, quando ti scrivono tutti i contatti della rubrica, per farti gli auguri.
“È successo qualcosa”.

Tutti mi chiedono dove sono, se so, e se non so di informarmi.
Sembra che la Lombardia sia stata dichiarata zona rossa, ci sono troppi malati, troppi morti per il virus Covid-19 e il Presidente del Consiglio non ha altra soluzione: non si può più entrare né uscire dai confini della mia regione, se non per gravi motivi, o per farvi ritorno.

Nelle successive 24 ore continuo a cercare notizie e un modo per andare a Milano.
Sì, ho deciso di entrare nel centro del ciclone. Posso lasciare là i miei figli e mio padre? Sono tutti adulti ed in grado di cavarsela, ma succedesse loro qualcosa, io me lo perdonerei?

Tornare dall’Isola Magica è sempre difficile, ma stavolta è un’Odissea.
Ho prenotato dei voli, in seguito a variazioni e modifiche ho prenotato voli alternativi. Come evenienza ho comunque anche prenotato un Flixbus, l’ho usato spesso. Ci metterei più tempo, ma è una valida alternativa.

Lunedì 9 marzo arrivo con un volo Air Corsica sulla terraferma. Tutte le soluzioni che avevo prenotato il giorno prima sono state cancellate nelle ultime ore.
Sono all’aeroporto di Nizza. Il tempo passa. Non parte più nessun bus e nessun aereo, con nessuna coincidenza per Milano. Le notizie dicono che sarà sempre peggio. I miei figli continuano a chiamarmi chiedendomi dove sono e quando arrivo. Attraverso la città e vado in stazione. Mi salva Thello. I ragazzi alla biglietteria mi dicono “Madame, lei è molto fortunata, è l’ultimo treno che fa servizio. Da domani siamo chiusi.”

Arrivo nella mia Milano, nella sua Stazione Centrale, nel pieno della notte. Mi accoglie un silenzio surreale, un deserto irriconoscibile. Stanchissima, dopo un viaggio di 17 ore, pieno di incognite, di ansie, guardando in cagnesco i miei compagni di viaggio, come possibili untori, arrivo finalmente all’uscita della stazione.
Vengo fermata da un folto gruppo di uomini in divisa, giubbotti antiproiettili, armati: “Lei dove sta andando?”
Tutta la tensione mi crolla addosso e mi viene da piangere.

“Torno a casa”.

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