I giorni stanno passando lentissimi.
Sono giorni strani.
Il lockdown qui in Corsica si chiama confinement.
La parola mi suona come “confino”.
Ecco mi sento come si mi fossi volontariamente mandata al confino: in un posto meraviglioso, non fraintendetemi, e soprattutto assolutamente di mia spontanea volontà.
La mia vita dovrebbe dividersi tra Milano ed il resto del mondo: in viaggio, in barca, in Corsica; dico dovrebbe perchè non ho ancora avuto modo di fare da sola le scelte che mi portano qui o là, dall’ultimo cambiamento di rotta nella mia esistenza.
Non devo più mettere la sveglia alla mattina, indossare un’uniforme, che è quello che facciamo per andare a lavorare in un ufficio, trascorrere lunghe ore con sconosciuti che chiami colleghi, facendo cose che il più delle volte non faresti in quel modo o addirittura ne vorresti fare di completamente diverse; poi torni a casa, in un luogo che spesso non è quel luogo privo di conflittualità che vorresti che fosse.
Nella vecchia vita, quella che volevo diversa, ho sempre trovato conforto nei viaggi e nel tempo che dedicavo alla loro pianificazione.
In questa mia nuova vita tutto quello che mi andava stretto l’ho buttato via, come se fossero di una taglia sbagliata, in senso figurato (dalle mie scarpe e dai miei vestiti non sono ancora pronta a liberarmi).
Eppure il Mio Grande Cambiamento ha coinciso con l’arrivo di un mostriciattolo: il coronavirus.
Il covid 19 mi ha tolto ciò che era alla base del mio nuovo progetto di vita: la libertà. E soprattutto la libertà di viaggiare, con la mente e la fantasia prima della partenza, dopo con la memoria, e alla scoperta di nuove sensazioni ed emozioni durante. Mi sento come se trascorressi i giorni senza un vero obiettivo: ed è spaventosamente ansiogeno!
Eppure non mi manca nulla.
Certo, come molti altri, sto attenta al centesimo che spendo, sinceramente preoccupata da un futuro economicamente incerto, per non dire spaventoso. Però, per quel che mi riguarda, mi sento che per questo non posso incolpare nient’altro che me stessa, è frutto infatti di una mia scelta, ponderatamente fatta ormai un anno e mezzo fa: non voglio mai più lavorare chiusa tra le pareti di un ufficio, nella condizione di dipendente, che per me ha sempre significato soffrire di dover dipendere dalle decisioni di chi sta gerarchicamente sopra di me.
Peccato che nell’inventarmi un nuovo modo di vita io sia rimasta imprigionata niente di meno che in una pandemia che sembra si possa risolvere solo con l’interruzione dei contatti sociali, delle interazioni, degli spostamenti.
Difficile trascorrere una vita veleggiando se non ti puoi allontanare di un chilometro dal luogo dove risiedi, per proteggere te e gli altri.
Avrei voluto dividere, a mio piacimento, il mio tempo tra una barca e un appartamento a Milano dove potermi ancora occupare dei miei cuccioli, che è vero che sono cresciuti, ma nè io nè loro siamo ancora pronti a stare lontani e separati.
E invece ora siamo divisi.
E ne soffro, in modo indicibile.
E come loro mi mancano gli amici rimasti a Milano, le serate tra amiche, la possibilità di entrare in un museo a perdersi per un pomeriggio, il vedersi per un caffè e stare insieme delle ore.
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Thank you very much!